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telefonata costiera

  • Immagine del redattore: Milky
    Milky
  • 8 ott 2021
  • Tempo di lettura: 8 min

Come ho detto? Le cose andarono pressappoco così, forse con qualche variazione su di una rotta già vista? “senti che mi è successo!”, ho detto proprio così? C’è un interlocutore, anzi due. Uno molto vago, nascosto in un oceano intangibile, di dati e impulsi sonori -oggi sono stato a lungo al telefono. Un altro meno vago, dovrebbe stare davanti a me dall’altra parte di un qualcosa, un tavolo forse? Comunque su una riva opposta alla mia, cerchiamo di scambiarci messaggi.


Come sempre succede in questi casi, mi stavo pentendo di aver iniziato a raccontare al mio amico l’episodio di quella telefonata bizzarra che c’era stata nel pomeriggio, sono partite le alternanze del nostro dialogo presente, con i trattini, e quello trascorso telematico con uno sconosciuto, connotato dalle virgolette, una differenza di punteggiatura che avrà questo scopo forse solo per questa volta. Ma come è altrettanto comune in questi medesimi sfortunati casi, sarebbe stato ugualmente goffo a quel punto interrompere. Non c’era che continuare a riferire e a pentirsi, due atti che, sono certo, si intersecavano producendo un ibrido ben visibile, dipanato dalle mie labbra nelle sue spire di sillabe e difetti di pronuncia, sputazzi. Insomma una roba di cui il mio amico doveva essere consapevole, quanta pazienza.


“sì ecco salve, io chiamavo perché mi è arrivato questo messaggio che diceva che c’erano delle anomalie nei dati che ho immesso registrandomi a TuttoPoste.it, e quindi…”


“sì. Lei è ttt?”


“sì.”


“…”


“…”


“è in linea?”


“ah sì sono io!” -dovevo aver mormorato troppo piano.


“beeene, signor ttt, e ci conferma che le ultime quattro cifre della sua carta sono pfpfpf?”


“esatto.”


“bene. Nel frattempo stia assolutamente tranquillo, signor ttt.”


“…grazie?”


“ora aggiustiamo tutto. Il mio accento calabrese si sta prendendo cura della questione.”


“mi fa piacere, ma che questione sarebbe? Potrei sapere di che tipo di anomalie si tratta?”


“allora le spiego, il nostro servizioclientiassistenzaposteantitruffaoppureaiutoeconsiglipergliacquistiinsommanonabbiamobencapitonemmenonoimanoiquicomunquesilavora, per farla breve, si occupa di segnalare quando ci sono state delle operazioni illecite sulla sua, smsrhrh, bancaria. La sua banca che con noi non c’entra niente.”


“(che? Cristo giuro che lo hai fatto apposta a smangiucchiarti quella parola)” -pensai, e allora avrei già dovuto allarmarmi, diresti, ma non lo feci, forse perché, tutt’a un tratto, volevo sentire come andava a finire.


“lei quando ha aperto un conto PosteAbbastanza, dovrebbe aver ricevuto un codice di quattro cifre. Lo trova tra i messaggi, può cercarlo?”


“allora io mi iscrissi a TuttoPoste.it quando dovevo richiedere il permesso elettronico per accedere a Comproevendoeccetera, dopodiché non ho più avuto rapporti d’alcun tipo con il mondo di Poste**.”


“certo, il permesso elettronico. E quando si è iscritto a PosteAbbastanza, ha ricevuto un codice.”


“no guardi scusi, io non ho aperto un conto PosteAbbastanza.”

“no, ascolti, c’è un equivoco. Lei ha aperto, un conto PosteAbbastanza.”


“…ok?”


“sono lieto che ci possiamo intendere.”


“minchia anche io!”


“bene. Allora, signor ttt, lei nella giornata di oggi alle 13 e qualcosa ha versato mezzo milione e l’anticipo per un villino sul litorale, le pareti sul pianerottolo un po’ incrostate, se una vacca per caso le lecca fa una smorfia schifata perché hanno un saporaccio salmastro, ma alla fine va bene così, insomma un villino che risponde a queste caratteristiche più, ripeto, mezzo milione?”


“ma assolutamente no!”

“assolutamente no, bene, è un’ottima risposta.”


“ma no che dice, lei è troppo buono.”


“lo so. Comunque siamo qui per questo, come le dicevo noi esistiamo proprio per queste situazioni. Dunque adesso tramite la sua app della banca dovrebbe ricevere le nostre comunicazioni. La sua banca che con noi non c’entra niente!”


“non ho ricevuto notifiche, di solito succede.”


“no, certo, perché adesso gliele riceviamo noi.”


“…ah.”


“allora: le arriva?”


“sì, vedo la richiesta sul display.”


“bene. Lei deve cliccare ‘accetto’ sotto la dicitura ‘autorizza furto di metà del saldo in attivo a favore di ladri’. Ehm, no, volevo dire, sotto ‘ora aggiustiamo l’equivoco’. Nel frattempo, volevo dirle, signor ttt, che lei deve stare totalmente tranquillo.”


“ma guarda! Lo sa che lei è proprio un grande? Cristo, fregarmi a questo modo in una maniera così esplicita! Che razza di idea le sembra, eh?? Senta ho cliccato su accetta, mi dica se le è arrivata…”


“un secondo solo…”


“…”


“…”


“…”


“…” -nel frattempo pensavo a quel villino, e al perché ci avevano portato una vacca. Quella sì, era una situazione dalla quale proprio non poteva venir fuori nulla di buono.


“no guardi signor ttt, la sua app va troppo lenta, quindi adesso le rimandiamo la stessa notifica. Deve rifare l’operazione una seconda volta, sa, le procedure, la burocrazia, le smsrhrh…”


“ah non lo dica a me che fieramente mi oppongo a tutte e tre dal 1997.”


“sentito ragazzi? 1997, segnate. Allora, tornando a noi, le è arrivata la notifica. Giusto per esser sicuri, il suo saldo disponibile è di ***?”


“sì.”


“quindi più o meno la metà della cifra che ci ha appena versato, conferma?”


“sì.”


“perfetto, stia tranquillo, tutto sotto controllo, come le stavo dicendo adesso le rimandiamo la stessa notifica sulla quale dovrà cliccare di nuovo accetto e sarà tutto risolto. È ancora in linea?”


“non vedo perché non dovrei esserlo.”


“la ringraziamo.”


-fu a quel punto che qualcosa, un istinto raggelante, mi colse all’improvviso, dicendomi da ogni fibra vacillante del corpo d’andarmene il più velocemente possibile. Attaccai senza un cenno, spensi il telefono, lo gettai in una fossa scura. Fu perché ebbi la certezza, in un istante effimero ma intensissimo, che dall’altra parte ci fosse, a parlare con me come se fosse un operatore di qualche ditta, un, come dire… tu hai presente gli oni no?


-…gli orchi giapponesi?


-esatto. Aspetta, non era un oni, ma ci assomigliava. Era una creatura con una bocca larga, in cui c’erano solo denti canini, e parlando il suo idioma deforme la smuoveva tutta sinuosamente lungo il profilo delle labbra assenti, scoprendo di volta in volta una gengiva palpitante di rossori, sanguinolenti e fetidi per troppo consumare pasti bruti tra le caverne, ossa e tutto il resto. Poi come un oni aveva certo un paio di piccole cornette che gli spuntavano ad antenna da un crine irsuto e acuminato. Altro che calabrese! Però la pelle, avrei detto, era bianca e pezzata di nero, proprio come la tipica vacca, o meglio, come un gadget che riprenda quel motivo di vacca.


-dici tipo una tazza per il latte bianca, con le macchie nere?


-ottimo esempio.


-e quindi?


-e quindi niente, sentendomi investire così all’improvviso da questa immagine, mi sono molto spaventato. E angosciato, come capendo all’improvviso che era questa come tutte le altre telefonate, una linea tesa tra due distanze che non possono e non potranno mai e poi mai capirsi. Non c’è comunicazione possibile tra un uomo e un orco, o qualcosa che gli somigli, ecco perché quell’immagine mi giunse a quel modo. E così è per tutti quelli che telefonano, o parlano, o di cui si ricorda in un secondo momento la conversazione, le arrabbiature, le lamentele, le critiche, le lodi, le pause… ti rendi conto all’improvviso che laddove avevi sentito affiorare qualcosa di simile alle parole d’un linguaggio che ti sembra di comprendere, delle forme che riconosci, c’era stato invece un singolo monotono brusio come d’un gorgogliante ruggito sommesso in gola. Un ringhio di creatura che fa la tana in certe spelonche luride tra le montagne impervie, piene di nidi vischiosi di ragno, di robaccia nera nelle tenebre, e resti mezzi spolpati.


Il mio amico fa una faccia da sgombro in cui si intrugliano uno stupore molto passeggero, delusione, stanchezza, irritazione, e il sorrisetto che si fa davanti a un’ovvietà. Mezzo scuote la testa, mezzo sbocconcella un sorso alla sua bevanda, perché evidentemente siamo in un bar o qualcosa del genere, a me non me ne frega niente e non me ne sono accorto perché ho in testa solo la mia stessa testa la quale a sua volta è rintronata e toccata solo da questa imbecille esperienza. S’asciuga dalle labbra una spuma che odora d’alghe, passandosi l’avambraccio mezzo abbronzato, forte e poroso come un cemento portuale in parte sommerso che riemerge sgraffiato di cirripedi e scrostature, escrementi di gabbiano. Io vedo il mio amico così e mezzo mi sento capito, e mezzo rido, di quel riso esasperato ma così sincero che facciamo noialtri quando ci si riconosce in certi aspetti riconoscibili e di cui si farebbe volentieri a meno. Accompagnando con parole, o con un loro silenzio equivalente per quanto sono scontate, del tipo “che casino…”, “ma che hai fatto…”, “hai sbagliato di nuovo…”, etc.


-sicché questa è la tua storia di oggi.-, mi dice sospirando.


-eh, mi sa di sì…


-e quale sarebbe il significato che tanto vai cercando? È “questo”, che tu fai impegnandoti a scrivere ogni giorno? Portano a “questo”, le tue riflessioni?


-senti, ci sono dei giorni che non c’è ispirazione. Quando c’è uno fa schifo schifo, quando non c’è, beh l’hai appena visto. E allora scrivere così, diventa quasi come lasciare una strisciata di merda sulle brache del mondo, una sgommata nichilista e disfattista, una specie di vaffanculo. Per chi non ha le palle o le dita di farlo altrove.


-certo, certo. Ma allora lascia che ti dica una cosa: il villino.


-be’?


-il tipo ti ha detto che è sul litorale, giusto?


-e con questo? Sono parole del cazzo, lo sai, tutte così irritanti che ti vien voglia di prenderle e schiantarle al muro. Per cui ci sarebbe una qualche grammatica implicita che ti dice che alla parola “villino” debba da qualche parte seguire la parola “litorale”, insomma, lo sai no?

-sì che lo so. Ma stavolta c’è una vacca.


Ascolto attento. Non posso lasciarmi sfuggire nessuna implicazione, per quanto recondita e sgusciante come una murena, che sia evocata da un ragionamento del mio amico circa un qualcosa che ha a che fare con una vacca.


-il fatto è che quel villino non è affatto un villino sul litorale.


-ma certo, sono stato scammato.


-e perché, lo sai? Perché è una malga. In montagna, con le vacche.


-…che?


-guardati intorno. Per una cazzo di volta.


Sembra un bar normale. Non capisco. Scorro lo sguardo sulle finestre buie, nella tenebra agitata e continuamente rivoltolata da traballanti contorni di stecche verticali, una specie di foresta di legni cigolanti per un moto ondoso sottostante… barche in fila? Il vetro è appannato, l’acqua popola gli altri elementi. C’è un salvagente a un pilastro di legno, quadri di vele tra le onde o incagliate tra i lidi, soprammobili a forma d’ancora sui tavoli, una circonferenza di denti abissali spalancati che secca rassegnata la propria scorza giallastra su carta da parati di righe bianche e blu. Nel boccale del mio amico c’è una sostanza salmastra che è tutta un fondale limaccioso e verde, con una scia verticale d’effervescenze inarrestabili come da un’anfora rovesciata in un acquario di crostacei. Quindi? Il mondo è diventato un litorale?


-qua sta affondando tutto. E tu stai qua che scrivi queste cose.


-sì lo so lo so, è il problema che mi faccio da mesi ormai.


-e io devo ricordartelo. Io lo sai che ho fatto mentre tu eri distratto?


Scuoto la testa.


-ho costruito un galleggiante. Magari adesso riesco a salirci solo io, ma se si continua a costruirne, ci si potrà salire pure in più di uno, chissà. Te invece stai qua che fai il depresso, come quando eravamo piccoli. Il giorno dopo cerchi degli elementi divertenti, per dirti da solo che anche questa è una reazione allo stesso sentimento. Mentre tu non crescevi, noi cambiavamo, adattandoci al livello del mare che saliva.


Mortificato guardo la tovaglia, sbalzello una scultura che ho fatto col cerchio di plastica d’un tappo di bottiglia. Un odore di stufato di pesce circola sopra le nostre teste, spargendo vapori densi e candidi, madidi d’un incontro tra carni morte e un caldo umido di fornelli che s’infiammano sempre nella salsedine d’un mondo costiero. E mi sembra che la telefonata del pomeriggio fosse una cosa completamente lontana da tutto questo, senza un campo semantico in comune, distante come una comunicazione mancata, come l’altro dall’altra parte d’un telefono. Come sono distanti e reciprocamente incomunicabili degli orchi di montagna, dentro le loro caverne putride, e le mezzelune biancogialle dei gabbiani che vedo tagliare in spicchi sporadici la notte nera là fuori.


Un pensiero mi dà una speranza, famelica di apocalisse, della fine d’un qualcosa -deve avvicinarsi l’ora che voglio tornarmene a casa, chissà se in questo mondo ci si torna affittando un’imbarcazione. Penso che forse si tornerà a comunicare, essendo tutti una cosa sola, come sto comunicando solo con me stesso, dal momento in cui questo mare che sale inesorabile, trasformando ogni abitato del mondo in un porto o un mercato del pesce, avrà sommerso tutto allo stesso modo. Le vacche, le malghe, gli orchi che hanno il manto di vacca. Quelli che odiano ricevere telefonate e gli operatori lontani oltre i fili e le reti, insomma, tutti in un unico sprofondo, un inghiottimento ultimo di acque che rivendicano la terra.


L’amico mi dà un colpetto con le nocche sporche di sabbia, mi risveglio, l’ho fatto ancora.


-oh, non ti preoccupare. Devi stare totalmente tranquillo. Se ci incontrassimo sul serio, e non in questa tua fantasia, non ti direi mai cose del genere.


-lo so. Per questo sei un amico.

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