racconti delle cinque dita- "Crepitio" (pt.3)
- Milky
- 14 apr 2020
- Tempo di lettura: 9 min
Aggiornamento: 25 apr 2020
Un cacciatore corpulento e barbuto, dalla capigliatura in parte bruciata che lasciava scoperta una voglia rossiccia, avanzava veloce nel fitto della foresta. Con grandi passi di marcia ritmica e decisa, imponeva la sua statura di quercia contro la notte, tutto ciò che bastava ad allontanare le entità ignote acquattate nell’oscurità. A volte una lucciola curiosa lo seguiva in ampi voletti, come un cagnolino. Non lo fermavano i rami e i rovi, il suo procedere era puro rumore boschivo, un patto sonoro tra il regno degli alberi e un bestione che si è guadagnato la reputazione di suo degno abitante. Il buio era asfissiante, ma la vista esperta sapeva catturare le cose fondamentali e farsele bastare, aveva imparato il modo di farsi sfruttare al massimo nella situazione più difficile, così come tutti gli altri sensi. Miscele di terricci diversi si incontravano nel sottosuolo, combaciando asciutto e bagnato; funghi microscopici gioivano dell’humus, spargendo spore e un paludoso odore di esultanza. Le felci annuivano sui propri gambi millenari. Tutto nella normalità di una notte di luna nuova, rinnovata però da un aleggiare di idee misteriose. Da un falò in una radura si erano dipanate ombre strane, una certa ambiguità di pensiero era arrivata a farsi necessaria come non mai nella vita solitamente rude dei cacciatori di montagna. Il cacciatore era carico di un nuovo ottimismo, soddisfatto per aver dato una forma a quegli elementi o divinità che, secondo la sua teoria, ancora tenevano in piedi le montagne: una chimera, un mammut, un cavallo… soltanto lui, tra i presenti, aveva contribuito al crollo, quello che un giorno avrebbe trasformato un’intera catena montuosa in una conca. Uno dopo l’altro, sparivano gli animali, la carne guardiana della roccia, i protettori del disabitato. Ma era stato un crollo necessario a scoprire questa realtà, quasi un sacrificio. Conservava una scaglia del corno dell’uro in una tasca interna del pastrano, quasi conficcata nel petto pulsante. I cacciatori stavano cambiando, inconsapevolmente cominciavano a muoversi verso la stessa verità. Doveva essere la montagna a infondere questa conoscenza, a scioglierne frammenti tra i minerali contenuti nell’acqua fresca di ghiacciai e grotte, da esser riassorbiti nel flusso sanguigno degli abbeveranti come un dono ceduto secondo i dettami di una misericordia rarefatta. L’ancestrale dialogo con le bestie e la terra richiedeva un radicale sconvolgimento delle sue forme, non prevedeva più i canali dell’arco e le frecce, del coltello o dei palchi puntati a testa bassa. I tempi stavano cambiando: per un po’ sarebbe stato meglio procedere con cautela, questionare almeno momentaneamente la conoscenza accumulata. Poteva trattarsi di una tregua, così come della scomparsa della caccia per come era stata conosciuta. Ma in quest’ultimo caso, poteva forse estinguersi anche il principio alla base? Sarebbero morte quelle stelle invisibili che scolpiscono nell’anima di chi nasce rivolto ai boschi la scena ancestrale, il sogno antico da perpetrare?
Da un frusciare frettoloso di rami caduti comparve un fantasma. Si materializzò nel buio, uno spirito con un corpo solido, un proprio peso. Contrappose alla cecità che attanagliava il tutto una carne grigiastra come terreno lunare, si mostrò al tangibile del cacciatore penetrante il cammino dell’oscurità. Era come un ostacolo, o forse un pedaggio, un passaggio necessario sulla via immaginaria che percorreva. Il cacciatore sorrise ancora, sicuro nel mostrare la nuova tecnica appresa dalle labbra nel corso della notte. Come se lo aspettasse, ed eccolo in mezzo al sentiero come il diavolo in una rappresentazione sacra. Era forse la sua serata fortunata?
-credo di sapere chi sei.- il suo annuire entusiasta voleva essere un ostentato opposto del tentennamento, il timore che quel fantasma solitamente sperava di infondere in chi lo vedeva apparire.
-ah sì? Allora forse saprai che io, invece, so esattamente chi sei tu.
Il muso affilato mostrava file di denti bianchi, perennemente scoperti come in un teschio, gli conferivano l’apparenza beffarda di chi utilizza la derisione per rapportarsi agli altri esseri. Le sensazione di celare nella stessa natura una dimensione buffa e un’altra estremamente pericolosa si irradiava anche più dalle sfere nere che costituivano gli occhi, in cui sporadicamente si intravedeva una puntina lontana, un accenno di pupilla come al centro di un lago di pece. La corporatura di spesse ossa deformanti la pelle, molto alta ma costantemente rannicchiata, si poneva grottesca come un oggetto ingombrante, ridicolo finché non si riesce più a ignorarne l’aspetto profondamente alieno. Sempre circondato da un alone di oscurità simile a polpa di buchi neri, come vapore che si sgretola all’infinito da un corpo putrefatto, voleva comunicare nella sua manifestazione fisica l’estrema fluidità con cui si muoveva nel reame della tensione. Sguazzava nella materia inquieta come in un rinfrescante bagno di fango e tracciava da miglia l’odore di istinti in tumulto, captandone lo stato di allerta, disponendo a piacimento di un olfatto primitivo e infallibile. L’alone si increspava in guglie mobili, dandogli talvolta una sagoma di pelo irsuto, aculei dritti, orecchie a punta dietro la sommità del capo…
-mah, a essere onesto, non credo in nulla che affermi di sapere esattamente qualcosa. Pensa, mi basta stare di fianco a un fuoco acceso, ad ascoltare le solite vecchie storie, per rendermi conto che dopo tutti questi anni non comprendo a fondo neanche il solito vecchio me.
Lo spettro ringhiò, facendo baluginare guance di foschia nervosa, poi il ringhio mutò in una risata a fauci spalancate.
-che spasso, umano! Sai, dovrei essermi stufato dopo tante ere della solfa ricorrente, di uno di voi che si pone col tuo stesso atteggiamento strafottente, compiaciuto di tener testa a una robaccia demoniaca come me. E invece non resisto, è sempre un piacere!
Il cacciatore ridacchiò a sua volta, spontaneo e privato della pretesa di studiare le mosse dell’interlocutore. -ne sono lieto, allora!- sotto gli incanti bizzarri della luna nuova, richiami per il surreale e il delirante, poteva accadere che perfino nel cuore di una fitta foresta si verificasse la scena di un ammiratore alle prese con il proprio idolo, posto a metà tra l’eccitazione dovuta all’incontro e la circospezione di non attribuirgli un potere maggiore del necessario. L’idolatria, per quanto importante, deve avere sempre dei confini.
-hai poco da essere lieto, sai?- rispose lo spettro, fattosi più serio e fermo -pensi di aver scovato il nucleo di un dilemma primordiale, dando un nome a ciò che causerà la rovina di queste montagne. Ma nel frattempo ti sei concesso il lusso di ignorare tutta l’anomalia che si è consumata attorno a quel fuoco, perché non sei stato capace di vederla. Ti manca un pezzo, non puoi interpretare, non sai niente.
-dunque la mia ipotesi è giusta: le montagne crolleranno.- ammiccò il cacciatore, ignorando la restante parte per punzecchiare l’altro.
-sicuro che è giusta. Ma non serve a nulla, se nel momento in cui hai ricevuto conferma non sei nemmeno riuscito ad accorgerti di tutto quello che stava accadendo. Voi cacciatori vi state rammollendo… ci sono quelli che vedono cose che non dovrebbero vedere, che nessuno dovrebbe vedere da queste parti, e quelli che non le vedono perché semplicemente hanno perso l’accortezza. Appartieni alla seconda categoria, rammollito!
Alzò un sopracciglio, dando un tic alla mascella come stesse masticando nuovamente un trancio di carne secca invisibile.
-l’ho visto, che erano presi dal fuoco.
-non hai visto che cosa c’era.
-non ci vuole un genio a capire che vedevano qualcosa che io non vedevo. Non li invidio, prima o poi capiterà anche che io veda una cosa che loro non potranno vedere. Magari sei proprio tu.
-e se l’avessi vista sapresti che quella cosa non appartiene a queste terre. Appartiene alla coscienza degli uomini, alla vostra debolezza, non è un demone che dimora tra le montagne come quelli della mia stirpe. Non è questo il suo posto, non è questo!
Soffiò a intermittenza un latrato di metallo ruvido, gonfiandosi e sgonfiandosi in una grottesca danza intimidatoria. Un fremito nel petto del cacciatore smosse la scaglia di corno conservata nel taschino.
-sono io, l’unica inquietudine che può deambulare su questo suolo, per il permesso stesso della natura!- continuò bellicoso, ma con l’aria di divertirsi -lasciate le vostre angosce e sentimenti davanti al focolare delle vostre tane impure, non le portate davanti ai fuochi accesi sui monti!
-amico, il cambiamento è nell’aria. Vorrà dire che gli animi degli uomini di pianura e quelli degli uomini di montagna non saranno più separati come un tempo. O magari non lo sono mai stati. Magari abbiamo sempre imparato l’uno dall’altro, magari anche loro conoscono sogni ancestrali e anche noi come loro possiamo conoscerne l’assenza totale. E poi si sa, in casa non c’è spazio per certe visioni. Bisogna sempre farsi una camminata in montagna, per vedere cose memorabili.
-voi cacciatori, credete di trasgredire alle leggi della vostra stirpe, ma…
-scusa, prima che vai avanti, ci tenevo a fare una precisazione: prima hai detto una cosa che non mi è andata a genio, tipo che io avrei trovato sollievo perché sono riuscito a dare un nome a quegli animali sopravvissuti, che impediscono alle montagne di crollare, o una roba del genere… beh, mi dispiace deluderti ma “dare un nome” non mi aiuta proprio per niente. Preferisco avere un’immagine ben chiara qui dentro, senza nome come i sogni in cui si presenta.- si picchiettò il cranio, prendendo in giro se stesso e lo spettro insieme.
-stammi a sentire, umano, e non farmi perdere la pazienza. Puoi drogarti di ottimismo intorno a un falò caldo e accogliente in mezzo al gelo, puoi illuderti che non verrà versato altro sangue ma un mondo crollerà, prima o poi. E se sarà il vostro sterminio indiscriminato a prevalere non avrai più montagne da esplorare, e tu sei nato cacciatore, non conosci altra vita, sarai triste, triste, triste! E allora sì che avrai modo di osservarla anche tu, quella marmaglia nera senza forma!
-pensi che un mondo debba crollare perché finora non hai conosciuto altro che guerra. La colpa è della violenza degli uomini, ma anche della violenza della natura che non ha mai accettato la loro comparsa. Eppure, al di fuori dei casi estremi, abbiamo sempre saputo sopportarci a vicenda. E lo abbiamo sempre fatto. Solo che abbiamo insistito a vedere la cosa sotto un’altra luce.
-la luce del sangue.- ghignò il demone.
-già.
-e non lo senti più, il sangue che ti sporca le mani e gli abiti?
Al secondo fremito del corno, il cacciatore lo trasse fuori dalla tasca del pastrano, tenendolo in equilibrio sul palmo duro come un piccola falce d’unghia raccolta da terra. Lo mantenne avanti a sé a braccio disteso, come recasse un’offerta. Ma era un atto rivolto a se stesso, tutta la concentrazione puntata alla propria mano. Nel vento o nell’oscillare spontaneo del mondo il frammento d’osso vacillò, sul punto di volarsene via, ma rimaneva sempre ancorato alla superficie callosa anche solo per una singola irriducibile particella. Una lacrima rigò il volto fermo del cacciatore.
-affascinante.- commentò lo spettro, l’espressione congelata in un ghigno perenne. -mi piace questa cosa che fate.
Il cacciatore lo ignorò, pensando ai fatti propri mentre riponeva l’amuleto, nessuna traccia della lacrima versata. Alzò la testa al cielo. Alcune stelle penetravano attraverso le nubi e i neri rami alti.
-inizia ad albeggiare un po’ troppo per i miei gusti.- disse per scherzo, notando quanto la notte fosse ancora lunga, quanti altri incontri strani potessero verificarsi.
-non lo dimentico, il sangue. Ma non dimentico neanche un patto antico che si stipula tra il carnefice e la vittima, tra la preda e il predatore, e che risale a prima che prendessi forma tu.
-e che ne sai, tu, di quando presi forma io? Vuoi dirmi chi sono?
-ti dirò chi sei più o meno, senza troppa precisione- rise alzando le spalle -sei “la prima bestia”, o qualcosa del genere. “L’animale definitivo”. “La cosa che si nasconde nel bosco”. Sto andando bene?
La bestia sfoderò ancora di più le zanne, le gengive sul punto di scoppiare. Sembrava compiaciuta.
-più o meno, sì…- fece fingendosi titubante, per non dar soddisfazione. Un istante dopo l’accensione del primo fuoco umano, lui era apparso là fuori nella terra selvaggia, aldilà dei villaggi. Ignorava di dipendere anche lui, come la maggior parte dei fantasmi che infestavano il mondo in quei giorni: un prodotto del cuore degli uomini, una delle paure più primitive.
-ti dispiace se ti chiamo “lupo cattivo”?
Un buffo movimento animò la creatura spettrale, come se avesse scodinzolato -no, non mi dispiace, fa pure!-, una punta di falsa modestia nella voce.
-allora, qual è questo patto di cui parli?- chiese dopo quel breve scambio.
-è il patto secondo il quale fa tutto parte di questo storto ingranaggio della vita e la morte. Per ora conosciamo solo questa vita. Ci rapportiamo l’uno all’altro nei modi che qui conosciamo, uomo e bestia, bestia e roccia, roccia e fiume, fiume e fiore, fiore e sole. Ci vogliamo nutrire, dormire, le solite cose. A volte ci facciamo del male, è inevitabile. Ma tutti insieme facciamo uno solo. La montagna nasconde nelle sue viscere l’idea che un giorno ogni cosa di questo mondo incontrerà ogni altra cosa, da qualche altra parte, in un posto diverso che funziona diversamente. In quel posto il carnefice e la vittima si riconosceranno e si scambieranno un cenno, in onore dell’esser stati entrambi sotto lo stesso cielo. Non serve altro, davvero.
Il “lupo cattivo” rise sonoramente, spargendo un’eco di ululati tra le vette.
-e quando starai in questo “paradiso”, insieme a tutte le bestiole e tutti quelli della tua stirpe, tutti in armonia… e vedrai me, un pezzo di inferno, in questo bel posticino… allora cosa farai, mio caro santone? Accenderai un falò, mi farai sedere accanto a te e mi darai pacche mentre racconti le tue avventure dementi?
-mah, “un pezzo di inferno”, guarda che sei solo tu a vederti così. No, non farò come dici, i cacciatori non danno pacche sulle spalle così facilmente. Invece, raccoglierò un rametto, lo lancerò e tu correrai a prenderlo per riportarmelo, con la lingua tutta di fuori. Poi mi chiederai di spostarci per trovare un bel cespuglio su cui pisciare e marcare il territorio.
Ghignarono entrambi, più simili di quanto sembrassero inizialmente.
-fa attenzione al crollo delle montagne, cacciatore. Non si sa mai quanto pericolante sia il terreno dove uno mette i piedi.
-in campana anche tu, lupetto. Ci vediamo.
Lo spettro scomparve indietreggiando nel buio, nessun lascito della sua presenza corporea. Il cacciatore continuò a camminare senza voltarsi mai, verso il termine della notte. C’erano solo alberi dappertutto.
(fine)

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