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haiku del Fango ファンゴ型発句

  • Immagine del redattore: Milky
    Milky
  • 28 mag 2023
  • Tempo di lettura: 9 min

山隠し

冷たい池に

鍵の亀 

。un aereo si infiltrò nel mucchio di nuvole, facendo separare gli stormi in volo. I colli rugosi e piumati, scarni e saprofagi oppure seduttori dai variopinti riflessi metallici, si chinarono all’unisono e in silenzio, dicendogli che poteva passare, che era di loro il re, nonostante tutto. L’uomo nell’abitacolo, cervello della macchina e a sua volta macchina di un volere nervoso e invisibile e suicidario nell’abitacolo del cranio, ricevette ologrammi d’esseri alati sul vetro degli occhialoni da volo, e credette di credere negli angeli, per la prima volta. Vide sotto di lui la mappa, montagne di vacanze verdi sbiadite nel tempo, strade serpeggianti tra ore deserte d’autogrill soleggiati, e pire, fuochi color sangue accesi tra picchi e gole. La terra si trasformava come aveva visto trasformarsi la baia a Dan No Ura in una danza di spettri. Un’ala esplose, porcospino di fumo nero. Precipitava. Tornava al suolo, finalmente, razzolare di zampe tra le ombre degli alberi, coltre cicaleggiante. Non il tempo di scrivere un solo haiku e dire qualcosa a quelle montagne che un tempo sembravano ascoltarlo. Non avevano orecchie nemmeno per rimaner sorde dalle esplosioni. Strinse nella mano sinistra la bandana dove s’incrociavano il sol levante e il fascio littorio della sua alleanza, e odiando la libertà e la prigionia al tempo stesso, sorrise alla graduale differenza nella consistenza dell’aria che, come candida panna da un altro pianeta, s’incagliava tra le ali e il motore mentre scendeva, scendeva, scendeva. Ombre in volo sopra di lui, in perfetta formazione. Si separavano.


A un uomo dentro un abitacolo era cresciuto all’improvviso un becco, camuso e osseo tra occhialoni e sciarpa, quando gli uccelli l’avevano salutato. Facce bianche da fumetto nelle vertigini e allucinazioni attorno agli occhi prima di bruciare come una stella. Nessuno sulla terra a ricevere il luccichio una volta attraversati gli anni luce della differenza.


山道の

触る雨粒

最初のたま

。le mani nelle tasche cercavano quella cosa che cercavano sempre quando l’intera spina dorsale in movimento costante s’incurvava su se stessa, la camminata tendente al rannicchiamento del post-lezione si dirigeva verso il Verano e sgattaiolava tra opprimenti monumenti gravidi di storia e carneficina, tra fili elettrici sospesi sgusciati direttamente da un immaginario urbanografico fino a ferire il reale, tra orme di Kaijū tirrenici che hanno plasmato una metropoli e i suoi cumuli di verde come montagne che cingono la distruzione. Facendo l’anguilla tra tutte queste cose, nel frattempo erigeva ai suoi lati il viale appenninico dei pellegrinaggi francescani, ricordava l’acquazzone che sorprese la stessa identica camminata, quando l’acqua, penetrata a fondo nei capelli e nel cervello, aveva tinto di un colore quasi bluastro la sua malinconia, osservata con fare impiccione dagli scoiattoli intorno. Ora piccioni e pendolari. Un’ombra strusciava l’asfalto torrido della fermata del tram, strisciava verso il parco, cedeva una monetina, sbiadiva e si ritraeva di fronte alla minaccia delle poltroncine di bambù comparse all’improvviso sul prato, segnalando gli aperitivi e l’avvicinamento dell’estate e l’imminente fine di lezioni e camminate stanche d’un qualcosa d’indefinibile. Cipressi del Verano si sovrapponevano a ologrammi viola di montagne laziali.


L’inizio della vita risaliva a quei luoghi, alle loro acque, venivano dal mare sporco, tornavano sulla terra a tingerla di nero. Nacque nel momento in cui si fracicò del ciclo. Sarebbe piovuto anche al Verano, facendolo rimanere in attesa nei pressi delle scale dell’ingresso, da dove osservava l’asfalto fiancheggiato da lapidi.


エレベーターの

突然の覚悟

闇だろうか

。mi è caduta una cosa nell’ascensore. Tranquillo, si può scender giù a recuperarla. Basta andare al piano terra e poi scendere, sai, quella porta misteriosa? Lì dove è pieno di lucertole e rospi e si gela.


La linea nera tra il pavimento che vola e il pavimento fermo. Quanto a lungo intendi fissarla? Quanto intendi scrivere a riguardo? Al momento seppi soltanto replicare che, qualunque cosa mi fosse caduta laggiù -non ricordo affatto cosa fosse, ma forse un minuscolo gingillo metallico che mi piaceva manipolare-, in quel momento era diventata per me, a prescindere dalla sua vera natura, una carta collezionabile, delle innumerevoli che venivano perse o rubate, Slowpoke, branchi abbarbicati all’umidità calcarea e gibbosa di un pozzo scuro.


掛け軸に

エジプトや数学

多すぎる

。quanto intendi scrivere a riguardo? Quanto a lungo? In conformità alle esigenze della vendetta che mi riguarda, rispose lo spettro del pilota suicida evocato nella seduta spiritica che tanto spiritosamente i vecchi compagni di classe avevano organizzato lì, nell’aula scolastica. Buffo che in vita non avesse mai accettato inviti alle rimpatriate. Lo chiamavano snob. Lo diventava quando la stanchezza del torace gli faceva credere che fosse fin troppo doloroso e impossibile spiegare che le cose stavano in maniera un po’ diversa.


Quanto difficile era spiegare che le cose stavano in maniera un po’ diversa, a chiunque, a qualunque voce viva del mondo che avesse già deciso tutto -chi sei tu, cosa significhi, la delusione che non devi dare. Il fatto che esisti è un’aspettativa.


Che vendetta?, chiesero con una certa urgenza, e un flebile astio sotterraneo. Si riscosse dai pensieri suoi da spettro, popolati a dismisura da spettri degli altri. Loro non potevano saperlo, ma era tutto il contrario di quello che pensavano: erano i vivi a tormentare ancora i morti. Sorrise amareggiato, in un modo che non potevano decifrare.

Ma doveva rispondere.

Che vendetta? Quella per la quantità eccessiva delle cose esistenti.


Lo osservarono per un po’, come incuriositi e in cerca della chiave al comportamento dei trapassati, ma presto, come tutti i partecipanti delle sedute spiritiche e delle rimpatriate, furono delusi: i morti sembravano semplicemente goffi e annoiati. Non faceva altro che guardarsi intorno spaesato, senza alcun trasporto emotivo per quelle pareti che l’avevano visto ripetere poesie mandate a memoria, vomitare, riabbottonarsi il grembiule, pareti che gli avevano visto le ossa cambiare poco a poco. Di tanto in tanto si dava manate ritmiche -sempre lo stesso numero- sul fisico scarno, sollevando fittizie nuvolette della polvere che ingrigiva la sua figura d’ologramma dalla testa ai piedi. Fumettose nuvolette di una mistura di Mitsubishi A6M sgretolato e grumi di sangue si sollevavano ogni volta dai fianchi, poi sparivano, e lui tornava come prima a imbambolarsi e cercare a vuoto nell’aula, come un lucertolone che faccia vibrare nell’aria le narici e la lingua in cerca d’un calore che sa già non esistere.


Morti del genere sono come i vivi. Forse peggio. Un sorriso ironico comparve all’improvviso nel becco mentre scuoteva la testa, ma sparì presto come tutto il resto. La seduta si concluse senza saluti superflui.


自分の蝉

ミンミン限らない

シーンは真実

。non c’era francamente altro da aggiungere.


Dicendolo, creò automaticamente una strisciolina di carta che, sospinta dal vento che ancora imperversava dal Big Bang, dalla musica delle sfere, da Hiroshima, dalle BR, dall’androne delle scale -sospinta da uno scirocco simile, andò, suo malgrado, ad aggiungersi all’esistente, forse impattando un pezzo di marciapiede, una recinzione, o un cartellone pubblicitario dove ancora campeggiava un elefante grigio metallico con la proboscide e le zanne che trapassavano “ORFEI” giallo gommoso, impiastricciato al pilastro del cavalcavia sulla Nettunense dall’azione di anni di agenti atmosferici impregnati di un afrore incredibilmente simile a urina e pioggia sabbiosa nordafricana e ombrelloni ancora chiusi e ville abusive davanti a un mare grigiastro.


Però principalmente urina (seconda cosa peggiore tra i componenti della mistura).


ぎりがたい

真神の口を

もう知ったかな

。tutte le ore passate a selezionare immagini simboliche come proprio avatar finivano depositate in qualche archivio akasico, e per forza di cose, e per comune discendenza indoeuropea, anche le divinità blu dovevano aver passato molto tempo a scegliere i loro avatara. Ma stanno in una foresta semitrasparente, in un dipinto dai riflessi azzurrini, sogni che non sono mai stati studiati abbastanza per poterne parlare. Non è il caso di parlare di nulla. Nulla si immagazzina e viene appreso davvero. Siamo falsi archivi, sospirai sospingendo l’aria viziata della fase senza speranza della giornata. Continuai a scorrere i risultati di Google immagini in cerca della miglior sintesi, sdraiato sul letto. Nulla si può imparare, per nulla ha senso sforzarsi, scrivere, terminare una tesi senza essersi prima muniti di talismano, informarsi, pensare, e… dall’altra parte dello schermo il ghigno dei lupi neri mi si iniettava nello sguardo. Odore di una strada di altrettante cicale e ombre come quelle che conosco. Shimenawa abbraccia-alberi. Ci sono stato, ci starò, ho già vissuto tutto questo? Già vissute tutte le ore passate a darsi forma e dimenticarsene subito dopo. Cambio avatar di Telegram, nello stesso istante sento il suono delle fūrin appese sotto le grondaie del santuario, c’è un refolo fresco che viene dalle fronde delle cryptomerie sacre.


もう来た夏

僕の冬なら

ディズニーの世

。per quanto ancora hai intenzione di scriverne? Disneyland aveva una pubblicità interminabile su quelle videocassette, usurpava minutaggio a tutto.


Non accettate i falsi, esigete sempre e solo…..


Pubblicità del parco divertimenti che diventava il film al post del film. No, sul serio: quando ancora c’era il divano blu a casa vecchia, e da solo assaggiavo con una lingua invisibile i torrioni di polvere che si creavano tra le sue conformazioni da canyon, le ore strisciavano veloci e trasparenti in un pomeriggio tubolare, la cui dolorosa e soleggiata carne era stata sostituita da slideshow di giostre e di una casa delle meraviglie. Il suo vanto era un drago meccanico. Ipnosi della sua testa mobile. Nero bocca gialla in fumi verdi. Io imbambolato e incapacitato a rispondere. Cazzo, ero proprio partito. Poi un tizio gigantesco con dei pantaloni lunghissimi simili alle ombre spigolose di una delle torri gemelle o qualcosa del genere si piazzò al centro dell’inquadratura facendo sì che la sua faccia di Topolino diventasse il fottuto sole. C’erano due macchie di usura sul muso giallastro e il bastardo mi fissava senza sosta. Esistono sguardi così? Sclere del bianco più vero che abbia mai visto. Pupille nere del cosmo, nere ventesimo secolo.


Unflinching -momento in cui apprendi un vocabolo come Mishima quando conobbe il seppuku per la prima volta da un libro di etica samuraica della biblioteca famigliare o seduto a un banco delle elementari. Mi accade lo stesso in quel momento. Definizione di unflinching: quello sguardo di Topolino nel pomeriggio pubblicitario; talvolta usato (arcaico) in riferimento al modo in cui, in un certo punto del tuo futuro, non esiterai a inoculare parole di lingue straniere nel discorso.


疲れたが

雲に龍を見た

もう一度龍

。il discorso vive nel treno. No non avevo così tanti impegni, adesso devo per forza fare il pendolare, ma per un periodo non ne avevo davvero bisogno. Cioè sì, mi era necessario, ma non per queste incombenze.

Per cosa, mi chiedi? Mah, per non farmi vedere da nessuno quando… eddai su, non farmi essere patetico. Diciamo per vedere i dragoni dal finestrino. Sulla Roma-Nettuno? Ma sì, sai, quelle spire, alte nel cielo. Fenomeno ottico, cose di vapore acqueo ed elettricità? Miraggi, belli anche quelli. Lo storno che ha artigliato la carne immobile della fermata di Torricola, anche lui un gran bastardo, sì, lo vidi gridare la vittoria della sua sopravvivenza in cima a quella torretta di mattoni con le viscere invase dall’edera. Mi chiedo sempre come sarebbe coricarsi al suo interno in una pozzanghera di sole, che odora d’ammoniaca e carogna e doposole e sgabuzzino. Mi chiedo se ci sono stato. Se dunque ci andrò, avendolo già vissuto. Perché mai dovrei scendere a Torricola? Domande terrificanti.

Dici che non ho risposto, che evito, ma non è così.

Sul treno prosegue il discorso e mi crea una perfetta parete attorno. Rimargino le buche create su di me. Rimargino la mia protezione. Monologo.


何のためか

常識返事したら

電車の麦

。e se non altro lo faccio per vedere quegli scorci. Una volta ebbi l’ardire di dirlo a qualcuno. Le mie lacrime di commozione provocano sempre disgusto, che è pure giusto, ma allora perché chiedete. Meglio invece nuotare in quella paglia, gialla, infinita, tra una fermata e l’altra, in totale silenzio e senza tracce, senza gps, senza. Divento concime per gli eucalipti e le loro storie. Divento Shoegaze del sottosuolo a Campoleone, sono colorato di giallo e terra e ombra, non sento più niente, respiro soltanto, sono solo occhi chiusi, sono una bruma.


イメージ百

飛んで沈むあと

病んだ魚

。e penso all’infinità delle volte in cui, al ricircolo infinito in cui, al cerchio in cui, al nuoto in cui, alle cose che ho già scritto in cui, alle continue arrendevolezze in cui, a


Al fatto che ho già scritto queste cose servendomi della superficie del laghetto come inchiostro, e guardavo là sotto in quella leggera tenebra che mi incantava i pesci diventare virgole e mandala di squame.


駐車場から

草無き丘に

悟る猿

。l’autore che scriveva del pilota di guerra sparisce di scena in circostanze misteriose. La sua figura che se ne va tra refoli di foglie d’acero che accompagnavano con premura da boy scout le ringhiere del viale universitario nei pressi del quale viveva da piùomeno recluso. Dove sarà andato a impiccarsi il suo fantasma? Tra le stesse montagne boscose del suo più noto protagonista, tra i suoi haiku in settecento lingue diverse messi per iscritto sui post-it della porta della sua cameretta ai tempi della sua WW2 ucronica, tra le citazioni letterarie scritte col sapone sullo specchio del bagno: alzate l’architrave e metteteci il logo dell’azienda: Napoleone-Mishima che ai tempi della scuola legge sull’abbecedario riguardo il seppuku a Sant’Elena, piccola isola: eccetera eccetera, 15 steps. Tra gli apocrifi del celebre autore, molti anni dopo, un racconto incompleto. In esso, tracce e odori della sua impiccagione, indizi. Musiche della sua uscita di scena. La sua schiena incartata nel cappotto beige che se ne va e sparisce nell’orizzonte in fondo al viale è già scena di un film ispiratoaunastoriavera, è già una colonna sonora, ha fatto quello che l’incompletezza incancrenita nella sua penna non è mai riuscita a fare. Il manoscritto, fulgido sole di genio o monnezza globulare rotolante, raccontava ancora una volta di terre d’autogrill, e montagne diverse da quelle dei bombardamenti: desolate, insulse, spoglie colline tozze d’erbaccia marrone. Un babbuino amadriade seduto a gambe incrociate sulla cima bassa e schiacciata suona uno shamisen. Il viaggio in macchina dura tre ore tra campi incolti sportelli incandescenti bufale al pascolo acquedotti romani tubi di patatine mascotte bianca baffuta marrone e il gioco delle carte di chi fa prima ad avvistare fuori dai finestrini le punteggiature della grammatica del mondo, mucche cucuzzoli e trattori del principio di tutte le cose.


Finite.


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