Gli Appunti Del Fango- Aprilia Metro Project (pt.1)
- Milky
- 11 ago 2020
- Tempo di lettura: 12 min
..prologo- una scena di conversazione tra viventi che percepiscono il cambiamento..
Individuo1 agitò la testa. Non era un semplice tic, e nemmeno era solo per aiutarsi a riordinare i pensieri dopo aver ascoltato -non ne aveva bisogno, era tutto facile per lui. Ribadiva di fronte a Individuo2 la natura del suo movimento costante, anche da fermo sul posto un qualche tremito da qualche parte, inarrestabile, fitto di nervi accesi. In Individuo2, invece, i movimenti più fragorosi erano quelli delle sue parole. Il discorso sgusciava fuori dalle sue fauci come un filo inumidito di bava tossica, serpeggiava a lungo in brusche svolte accumulando le parole che si sedimentavano nella mente di chi ascoltava, dei neri mucchietti di pelle morta appiccicosa. In ogni cosa che diceva sembrava esserci una qualche battaglia, uno scontro fra parti, un litigio, un capriccio che faceva presagire un futuro contatto fisico, fatto di contusioni; questo accadeva anche in maniera implicita: chi lo conosceva, sapeva che anche nella sua frase più lontana da tali argomenti, poteva rinvenire, esaminandola a fondo, tracce di contesa.
-dunque, quello che stai dicendo-, chiese Individuo1 tra innumerevoli scosse muscolari -è che, prima o poi, nella mente di ciascun abitante di una città poco nota o non molto estesa deve necessariamente formarsi la fantasia di vederla espansa, fino a diventare una metropoli. Questa idea fa parte del tuo pensiero.
-esatto.
-e non hai dubbi a riguardo.- Individuo1 digrignò i denti, li strofinò gli uni sugli altri imprimendo un leggero movimento rotatorio alla mandibola. Sembrava li testasse come un fabbro con la sua lama.
-no, certo, non ho dubbi. Forse a te non risulta facile comprendere come possa non averne a riguardo.
-infatti, ho diverse obiezioni.
-è naturale: chi vede la vita come un insieme di corpi non può accettare che questi riescano, ognuno autonomamente coi pensieri che custodisce, a dar vita a un principio che si libra al di sopra dei corpi stessi, avvolgendoli tutti. Non credi in un Dio, sei un materialista. So già qual è la tua fondamentale obiezione.
-sì, credo anch’io che tu l’abbia capita: insomma, non puoi proprio affermare che questo succeda in tutti quanti. Senza dubbio, è una fantasticheria comune a più di qualcuno di quelli che traggono giovamento dall’ipotizzare cose improbabili. Ma ti dimentichi che esistono anche moltissime altre persone più realiste, che mai si metterebbero a pensare una cosa del genere. Se, per puro caso, e cioè a causa di un qualche stimolo esterno, dovesse capitar loro di ponderare la questione, subito la liquiderebbero e il pensiero che dici si arresterebbe lì: loro sanno, per la loro esperienza delle cose, che Aprilia -prendiamo il caso di questa città- non potrebbe mai diventare una metropoli. E finisce lì.
Individuo2 si rovistò il piumaggio del petto, forse in cerca di parassiti. Poi lo percosse ritmicamente, come a batter via la sporcizia o far cadere una piccola roba impigliata.
-ti dico,- continuava Individuo1 -che ci sono un bel po’ di persone senza nessuna voglia di mettersi a immaginare i dettagli di una cosa che sanno non poter essere realizzata.
-e io, invece, penso che anche in questo ti sbagli.- affermò deciso Individuo2, impregnando il tono di una sostanza che poteva assomigliare a una certa dose di insolenza. Ciò era in realtà improbabile, poiché questi individui non provavano sentimenti di superiorità o arroganza, sebbene così potesse sembrare interpretando certe movenze o peculiarità della loro persona. Forse queste cose provenivano dagli spiriti, le personalità di esseri umani morti da tempo, di cui pezzi e sfumature erano giunti nei loro corpi di bestia attraverso una qualche forma di reincarnazione. Individuo2, dunque, proseguì sfoggiando il sorrisetto obliquo che qualcuno -ormai ossa o polvere- molti anni prima aveva personalmente collaudato per i propri momenti di sfottò.
-e non sbagli soltanto per quello che è il mio modo di vedere le cose, ma anche dal tuo. Non puoi nemmeno accettare che a tutti gli abitanti autentici, nati o quantomeno cresciuti qui, non si sia presentata questa fantasia quando ancora poteva essere proseguita senza i limiti delle caratteristiche reali? Come dici giustamente, questi individui fanno uso della loro “esperienza delle cose”, e questa non la si ha dalla nascita. C’è un momento in cui si è bambini e questa esperienza deve ancora venire. Non si sa che Aprilia non può divenire una metropoli, non si hanno i dati per ritenere impossibile una cosa del genere. E tu sostieni che neanche in quel caso le persone realiste si farebbero qualche domanda sull’aspetto di questo ipotetico grande centro urbano? In quel momento, in base a ciò che sanno, rientra tutto nel reame della realtà.
Individuo1 raspò la terra con il nudo piede rugoso. Tra i blocchetti sparpagliati che facevano il pavimento calpestabile del parcheggio, simili al marmo ma dalla consistenza di gommapiuma, spuntava qualche zolletta erbosa. Le unghie scure si richiusero su una di queste, e il botto secco dei fili d’erba strappati al terreno per un attimo sconquassò il silenzio come il primo rumore mai udito. Alzò il piede ed esaminò la piccola cavità lasciata nella terra, aguzzando -sembrava- le narici come per captare il misero odore umido di un verme.
-i bambini non contano.-, disse Individuo1 accompagnando l’affermazione a un grugnito. Era di fatto il primo suono che emetteva, poiché a differenza di Individuo2 non comunicava attraverso la parola; questi si serviva di uno dei sensi che gli umani non possiedono per ricostruire, nei minimi dettagli, il contenuto discorsivo dei pensieri dell’altro in un dato momento.
-i bambini non contano? interessante. Perché?
era sempre interessante per entrambi scoprire nuove differenze tra di loro. Forse anche questa particolare curiosità era un’eredità dei caratteri della gente.
-i bambini sono una fase di sperimentazione. Non si può giudicare un individuo che ancora deve nascere in quanto tale. E gli individui formati dall’esperienza, l’unico parametro di crescita per gli esseri della terra, non proseguono nel sogno di Aprilia Capoluogo di Provincia a meno che non abbiano una disposizione.
-questa è una sorpresa!-, rise Individuo2 di nuovo sembrando presuntuoso -colui che giudica le cose da come si muovono è disposto a ignorare una fase in cui ci si muove un sacco. O conta solo il modo in cui si muovono le cose grosse ormai cresciute?
Individuo1 non rispose. Guardò nella buca che aveva scavato, poi alzò la testa per spaziare lo sguardo sull’ampia distesa del parcheggio.
-non pensi- continuò Individuo2 -che l’infanzia sia determinante per come l’individuo verrà fuori?
-come determinante è ogni singolo uovo. Anche se sembrano tutti uguali, ogni uovo è diverso dall’altro, nella consistenza, la costituzione, l’equilibrio dei suoi elementi, anche impercettibilmente c’è sempre qualcosa di unico; così come ogni infanzia è diversa dall’altra. E infatti, ritengo che tra un bambino e un uovo ci sia poca differenza. Ma un uovo non si può definire individuo. Almeno, per come io percepisco le cose.
-uhlalà!-, esclamò Individuo2 senza un particolare motivo, imitando chissà chi. Non aveva ancora deciso se era d’accordo con l’altro riguardo all’ultima cosa. Rappresentavano due diversi insiemi di principi ed energie, erano comparsi in momenti diversi della storia (prima viene l’uno, poi viene il due...) ma erano in tutto simili -quello che si dice “appartenere a una stessa specie”- e perciò non era difficile capire i motivi attraverso i quali si era arrivati a una certa conclusione. Principi diversi facenti parti di uno stesso organismo, dalle molte teste: questa è la definizione di una “specie” e del ruolo che i singoli hanno all’interno di essa. Insomma, un’affinità esistenziale oppure obiettivi in comune facilitavano la reciproca comprensione. Lo stesso non può accadere nel rapporto con gli esseri umani: questi ultimi non hanno gli stessi istinti che possono portare una di quelle strane creature bipedi a valutare allo stesso modo un uovo e un bambino; e infatti, spessissimo, non si può proprio dire che approvino questa idea.
Per un po’ i due stettero in silenzio. Osservavano senza pensare a nulla il parcheggio vuoto. Vastissimo, una pianura che raggiunge i quattro lati dell’orizzonte, sembrava sfumare in lontananza come un mare, congiungendosi al cielo grigio. Tutto era piatto, il terreno non diveniva mai diseguale, nella sua altezza come nel suo aspetto. Solo blocchetti di gommapiuma grigia simili a scaglie di un pesce frammiste a ciuffi d’erba sbiadita e sporchi pali in file molto distanti, senza fili, come alberi spogli solitari. Per quanto si intensificasse la vista, non sorgeva da nessuna parte un alto edificio, un supermercato, un ospedale, un concessionario, nulla, e non un’automobile parcheggiata oppure in movimento attraverso una via lontana; si poteva pensare che fosse un parcheggio abbandonato, ma anche in quel caso, un parcheggio di cosa? Non c’era niente… e neanche poteva trattarsi di un parcheggio pubblico in mezzo alla strada, vasto com’era. Anche un essere umano, con il senso della vista sviluppato nelle grandi praterie africane, non avrebbe saputo individuare nulla, in stasi o in movimento, su quell’immensa distesa desolata, opaca come il cielo.
Gli esseri bipedi, in ogni caso, non possedevano una vista eccezionale -forse persa, un ricordo lontano lasciato indietro nell’evoluzione, come la capacità di volare- e vedevano meglio i dettagli a loro vicini, magari in prossimità dei piedi. Ciononostante, osservare non gli dispiaceva. Dalla loro posizione, appoggiati a uno di quei pali posti a grande distanza dal prossimo, volgevano lo sguardo avanti, a destra, a sinistra, ognuno nel suo modo: Individuo1 con la testa a scatti, il collo rientrante nel torso, sembrava quasi “pronto”, come se all’improvviso potesse stagliarsi nella distanza un grosso cane vagabondo e fosse necessario scacciarlo con mosse impressionanti; Individuo2, col collo più disteso, lentamente faceva scivolare lo sguardo in un movimento periodico e graduale, da una direzione all’altra, con l’eleganza di un aquilone sui venti o di una medusa nella corrente, dando un’impressione di calma inimmaginabile a sentirlo parlare, così feroce il suo roboante discorrere, un terremoto di pensiero. Entrambi però potevano ricordare, così messi a guardare il paesaggio, e con lo sparuto piumaggio dai colori spenti, due cornacchie a riposo su fili telegrafici. Il cielo, grigio chiaro, uniforme e inesorabile, proprio come il terreno non aveva irregolarità inaspettate, e se erano le nuvole la causa di quel grigiore, queste si erano camuffate così bene da far dimenticare ogni proprio contorno, cucite al cielo stesso; e anche di questo si finiva col dimenticare l’aspetto, bandito dietro un velo così spesso e fermo che non si poteva squarciare.
Sono molti, infiniti, i parcheggi vuoti e sconfinati in cui accade questo, ad Aprilia e in tutte le città costruite nello stesso secolo.
Individuo2, a un tratto, recuperò la conversazione coi suoi problemi fondamentali.
-bene, al di là delle tue obiezioni, devi sapere che, anche volendo escludere il periodo dell’infanzia, i tuoi cosiddetti individui realisti non sono affatto immuni alla fantasticheria di Aprilia Metropoli, proprio come tutti gli abitanti delle città simili a questa. Nessuno è escluso. Questo legittima quanto sostenuto, e cioè che proprio tutti prima o poi finiscano col pensarci.
-ma non mi è chiaro come non ne siano immuni. Perché secondo te è inevitabile che ci pensino?-, scalciò Individuo1.
-ma è naturale. Così ovvio che non ci sarebbe bisogno di spiegarlo. Non era certo questo il punto, semmai una premessa, che deve averti confuso molto.
-Confuso? No, io non mi confondo.- infatti non c’era nulla che confondesse realmente Individuo1, per il quale tutto quello che si muoveva non necessitava di comprensione (Individuo2 aveva dubbi sul fatto che le parole e le idee fossero da considerare cose vive o morte, ma per il momento tacque il dilemma; e comunque nemmeno le cose morte sono immobili)
-piuttosto, poiché mi avevi detto che le tue notizie potevano interessarmi, non voglio che mi sfugga nulla nemmeno nelle premesse.
-beh, non so se le chiamerei “notizie”...- commentò stiracchiandosi Individuo2 in un modo strano, in cui sembravano incontrarsi presa in giro, gratitudine nel sentirsi lusingati e uno sbadiglio -diciamo “congetture da prendere molto sul serio”. Comunque, ti spiegherò cosa intendo.
Intanto si alzava molto delicatamente un vento abbastanza caldo. I ciuffi d’erba tra i blocchi si agitavano controvoglia, pigri ma inermi. Soltanto due esseri potevano accorgersi della sensazione afosa che soffiava sulle squame. Individuo2 aveva portato avanti un lungo discorso, molti mucchietti di parole nere e appiccicose si erano depositati, come reliquie prive di vita in cui ancora covava simile a tizzoni bollenti una carica acquietata. Un impetuoso torrente talvolta non è appagato della sua sola forza vitale e la rivolge contro altre forze, contro la vegetazione sulle sponde, i raccolti, le creature che vanno ad abbeverarsi e incontrano invece la furia delle correnti, l’acqua che sferzando sulla carne addirittura la lacera. Così era il parlare di Individuo2 per chiunque stesse ad ascoltarlo, ma questa è una sensazione evidente solo a chi si è trovato in quella situazione. Per chi sente la conversazione riferita da qualcun altro, questa può anche sembrare del tutto normale, un insieme di contenuti, condivisibili o meno. E non è neanche la forma a esser violenta, bensì un insieme di fattori inspiegabili. Forse ha a che fare con l’impersonare“il secondo essere”. Un certo rancore esistenziale connaturato a chi è venuto dopo.
Comunque, Individuo2 parlò soprattutto di quello che dovevano provare gli apriliani (o tutti gli abitanti di questi conglomerati di cianfrusaglie definiti “città poco note”) nel sentirsi tali. Individui umani, nella sua percezione diversi da se stesso, ma contava con la propria attenzione di saperne cogliere moltissime sfaccettature nascoste, addentrandosi in sepolti cunicoli di coscienza, riemergendone pulito come dopo un bagno (e non solo gli umani, molti esseri -non tutti- condividevano simili sentimenti). Gli apriliani, assuefatti alla loro casa, la loro via, col loro indirizzo, le cose di valore che tenevano nell’appartamento -tane, molte tane, tane di tassi curiosi che collezionano ossa-, e da tutte le cose che riconoscono intorno alla loro casa, finiscono per sovrapporre una certa idea di Aprilia a quella del mondo stesso, senza accorgersene. Aprilia come centro di un monoteismo circoscritto, un culto tangibile di cemento e mediocri giardinetti pubblici. Non lo sanno -o meglio, lo sanno, ma non ci pensano spesso- e la loro mente si limita assumendo pian piano le stesse forme di quel mondo che informa il loro pensiero non appena prendono coscienza a ogni risveglio, al profilarsi di ogni giornata. Al mattino aprono gli occhi e non solo vedono Aprilia, ma la sentono anche. Il cervello, standoci dentro, si è modificato in accordo con essa, è un organo molle e acquoso dentro un contenitore rigido, la faccia pubblica; così una certa sinapsi ora assomiglia al Largo Delle Rose, questi o quei neuroni formano una rotonda in tutto simile a quella in Via Ugo La Malfa; l’ippocampo ha forse uno spiazzo che potrebbe esser stato visto in Via delle Regioni, le grinze della materia grigia si contorcono in spirali rattrappite, accalcate l’una sull’altra come i caseggiati popolari di Guardapasso; il cogitare protratto nelle giornate calde produce, per raffreddare i circuiti, esalazioni vaporose dagli stessi tanfi di carogna che impestano nelle notti estive i confini del Parco Friuli, e d’altra parte il sangue si irrora nei condotti cerebrali attraverso forme ormai identiche a sculture futuriste, proiezioni della fontana in piazza. E nel lontano inconscio là in periferia, campi e boschi oscuri di Fossignano sotto la luna, si agita un brulicare misterioso di bestie notturne e uomini notturni dalle intenzioni sinistre note solo alla campagna silente. Insomma, erano molti gli esempi, secondo Individuo2, che avrebbe potuto continuare a elencarli indefinitamente. Ma Individuo1 aveva una perplessità.
-e che differenza ci sarebbe con l’abitante di una qualsiasi altra città? Chiunque viva tutti i giorni in uno stesso luogo, e adotti quello stile di vita moderatamente sedentario, finisce per unire gli occhi con cui vede il mondo all’ambiente circostante, che è la prima cosa che gli si presenta ogni volta e che cresce nella memoria a causa dell’abitudine. Perfino i pendolari, che come sai abitavano e abitano la città in grandi quantità. Tutto questo è palese.
-certo che è palese. Che differenza? Ma nessuna, è chiaro.
-quindi è così anche per chi abita a Roma, se non di più.
-ovvio che è di più! Ma la vera differenza è un’altra: Aprilia non è Roma. Non è una capitale, non è un capoluogo, non è niente di tutto questo. Sì, dicono che ha una storia, ma pochi ci credono davvero. Ciò dona al viverla quotidianamente come se fosse il mondo intero un connotato ipotetico che non sempre si trova nelle città più grandi.
-Mi sembra una sciocchezza. Anche un romano può sognare che Roma torni un grande impero, che diventi più grande di quello che è.
-ti sbagli, amico, a considerarla una sciocchezza. È Aprilia stessa a sentirsi una metropoli, a sognarsi bella e grande. E grande lo è già abbastanza. Ogni cittadino che scopra una nuova via o una sterrata nella periferia così gigantesca corrobora il suo sentirsi grande. Si pavoneggia, dicendosi: “certo che sei proprio immensa, eh! Ogni giorno una zona nuova!”, e rinsalda la sua presa grinfiosa alla palude sottostante come un grosso, vanaglorioso tumore sull’agro pontino.
“Amico”, lo aveva chiamato, un intercalare degli umani. E aveva infuso nelle ultime riflessioni il romanticismo che non era praticato da tutte le specie bipedi.
-continuo a pensare che non tutti facciano le stesse fantasie.
-ma è così, ti dico, è così.-, disse come tra sé e sé Individuo2, quasi mostrando un margine della stessa quiete che limitava tutta ai momenti senza dialogo. Pareva riecheggiare la sagoma di un vecchio che, non sentendosi ascoltato, faccia lo sforzo di tirare avanti affidandosi al suo solo bagaglio.
-è il fango che lo vuole. Ha sempre avuto sogni di grandezza, quello lì.
Aprilia era stata costruita su un immenso acquitrino che fagocitava inesorabile tutta la zona pontina. Ribolliva ancora nel sottosuolo, eruttando a tratti nella campagna, chiamando a sé legioni di zanzare, sinfonie di grilli e rospi dal finale imponente, fuochi fatui elusivi. Tutto quello che era il movimento al livello del terreno -l’asfalto, le costruzioni, e quelli che ci abitavano- era soltanto l’eco di un movimento più grosso e più antico, di una volontà sottostante. Individuo1 cominciava a capire: lui i movimenti li sapeva leggere bene. E intanto un movimento già esistente cominciava pian piano a mutare, ricoprendosi di caratteristiche addirittura nuove: quel venticello caldo sembrava crescere, alzarsi sempre più, quasi impercettibile ma inesorabile. Di certo allarmante per i sensi più vigili. Come poteva essere? Un simile crescendo, proprio su quella piana desolata, quel parcheggio cosmico tutto uguale a se stesso, un luogo mentale reiterato all’infinito. Eppure saliva, a poco a poco, nella velocità frettolosa, nel calore che probabilmente si sarebbe intensificato, come smosso a palesarsi più decisamente da un ignoto e pungentissimo tumulto interiore. Come si era arrivati a una simile manifestazione, che presagiva turbolenza, nel parcheggio, il non-luogo dove nidificano tutti i nulla? Individuo2 aveva forse ragione: un preludio a notizie strane, forse anche inquietanti. Continuarono a comunicare, l’uno nella sua maniera atrofizzata (ma comunque esauriente in tal modo), il due con le parole e la malizia. E forse anche sopra di loro il cielo vuoto e senza volto si riscuoteva in qualche sua minutissima parte. Cambiava: e cambiando accompagnava il cambiamento, l’avanzare all’interno del tempo dei primi due individui di una specie. I due palmidroni comunicando si guardavano, si voltavano, dispensavano movimenti mentali oppure veri e propri. Poi come due cornacchie osservavano l’orizzonte durante le pause.
(continua nella parte successiva)

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